Due anni dopo il roboante successo di “The river”, doppio Lp di pura energia rock, Bruce Springsteen registra un disco in casa, in compagnia della chitarra acustica e dell’armonica.
L’album presenta una copertina in bianco e nero che riprende uno scorcio della campagna americana in un giorno di pioggia; all’interno dieci brani secchi ed essenziali, carichi di realismo e cruda verità, che narrano di storie individuali, di vite sacrificate in un improbabile sogno americano.
“Nebraska”, la canzone che apre l’album, è aperta dal suono lieto dell’armonica, ma la voce di Bruce è grave mentre parla di scorribande e di omicidi: dieci persone sono state uccise da un ragazzo e da una ragazza, e il ragazzo è in attesa della condanna: “Hanno dichiarato che non merito di vivere / hanno detto che in quel gran vuoto la mia anima dovrà essere scagliata / volevano sapere perché ho fatto quello che ho fatto / ecco, signore, immagino che questo mondo sia troppo squallido”.
Dieci brani secchi ed essenziali, carichi di realismo e cruda verità, che narrano di storie individuali, di vite sacrificate in un improbabile sogno americano.
“Atlantic city” è più mossa e avvincente, con un testo che affronta una situazione individuale difficile, di una persona sbandata e senza troppe speranze per il futuro. “Mansion hill”, accompagnata anch’essa da una trasognata armonica, è uno splendido quadretto bucolico dedicato all’infanzia, ai ricordi intensi della villa sulla collina che sovrastava la città e che era ammirata dal giovane Bruce.
“Johnny 99” è la storia di un assassino, anch’esso frutto della degenerazione della società: “Beh, avevano chiuso la fabbrica d’auto di Mahwah alla fine dello scorso mese / Ralph si era messo a cercare lavoro ma non era riuscito a trovarne nessuno / tornò a casa troppo ubriaco per aver mischiato gin Tanqueray e vino / prese una pistola sparò al guardiano notturno e ora lo chiamano Johnny 99”. Colpisce la capacità di condensare in poche righe personalità e situazioni. Come accade in “Highway patrolman”, storia di Joe e Frank Roberts, uno poliziotto, l’altro un poco di buono. Quando Frank ferisce gravemente un uomo in un bar e fugge, Joe lo insegue ma raggiunto il confine canadese, lo lascia andare via.
Suggestiva l’immagine di “State trooper”, di una persona in viaggio in autostrada senza documenti e senza grandi ideali: “Nelle prime ore del mattino ho la mente annebbiata i ripetitori delle radio mi guidano dalla mia piccola / dalla radio si sentono le stazioni di Talk-shows che si sovrappongono sono chiacchiere chiacchiere chiacchiere fino a farti perdere la pazienza / ehi qualcuno là fuori ascolti la mia ultima preghiera e mi porti via da questo nulla”. “Used cars” è la storia della propria famiglia, e l’automobile usata è la metafora usata per descrivere una povertà che non permette neanche di comprare una macchina nuova.
Ogni canzone nasconde un significato profondo; in “My father’s house” il protagonista sogna di tornare nella casa paterna ma trova ad abitarci gente sconosciuta, in “Reason to believe”, l’ultimo brano che è pieno di ottimismo, si indaga su un motivo per cui vale la pena vivere: “Alla fine di ogni sudato giorno di lavoro la gente trova una ragione in cui credere”.
Album intimista e colloquiale, “Nebraska” colpisce per le sue storie prese dalla vita reale, quasi dei bozzetti cinematografici, che sono trasportate in musica da uno Springsteen particolarmente ispirato.