Il debutto dei King Crimson avviene nel 1969, con la pubblicazione di “In the court of the Crimson King”, straordinario album frutto del genio di Robert Fripp, con Greg Lake alla voce.
I Re cremisi
Il debutto dei King Crimson avviene nel 1969, con la pubblicazione di “In the court of the Crimson King”, straordinario album frutto del genio di Robert Fripp, con Greg Lake alla voce. Di certo è il disco più famoso del gruppo, costituito da ballate decadenti ed epiche, da “21st century schizoid man” ad “Epitaph”, destinate a influenzare molti musicisti di quel periodo. “Lark’s tongues in aspic” è del 1973, anch’esso opera di Fripp, che nel corso degli anni e attraverso ben tre album (tra cui “Island”, bellissimo), ha cambiato formazione più volte; Brudford, ex-Yes, è ora il nuovo batterista, James Muir il percussionista, David Cross il violinista, e a sostituire Lake alla voce c’è John Wetton, che suona anche il basso; infine alla chitarra lo stesso Fripp. Il risultato è splendido, se possibile ancora più bello dei precedenti lavori; la musica dei King sembra evolversi rispetto al passato, imboccando decisamente la via della sperimentazione e abbandonando le atmosfere rinascimentali e barocche degli esordi. Dove prima dominavano le tastiere e i fiati, ora trovano spazio le percussioni, e non mancano le improvvisazioni con basso e chitarra a dettarne il ritmo.
““Lark’s tongues in aspic” è del 1973 è opera di Robert Fripp, che nel corso degli anni e attraverso ben tre album (tra cui “Island”, bellissimo), ha cambiato formazione più volte”.
L’album, costituito da canzoni che vanno dai 6 ai 12 minuti, non è mai monotono e colpisce per la sua varietà di soluzioni sonore e per la sua compattezza, senza che si avvertano pause o momenti vuoti. L’apice del disco è rappresentato dal brano “Lark’s tongues in aspic”, strumentale diviso in due parti, che cambia di continuo, assumendo i tratti di una canzone metal all’inizio, per lasciare spazio al gioco psichedelico tra chitarra, basso e batteria nella seconda parte, fino a che non emerge uno sconsolato violino nel finale.
Caratterizzata da una batteria incalzante in un crescendo notevole è anche “The talking drum”, anche qui 7 minuti strumentali. Le 6 tracce che compongono l’album non sono subito assimilabili; un ascolto attento permette di apprezzare l’enorme bellezza di questi pezzi e dà l’occasione di avvicinarsi alla corte dei Re Cremisi.